Bambina sulla sedia

Autore: Giacomo Manzù (1908-1991)
Datazione: 1955
Tecnica e materiali: bronzo
Dimensioni: altezza cm. 114
Collocazione: biblioteca
Provenienza: dono dell'artista nell'ambito delle celebrazioni del Natale di Roma del 21 aprile 1978.
Soggetto iconografico: Bambina sulla sedia
Iscrizioni: Giacomo Manzù / Bambina sulla sedia / Dono dell'auto su targhetta posta sul basamento di ottone (incisione)

Descrizione

La figura è quella di una fanciulla, seduta su una sedia detta la “romana”, formata da una seduta in paglia con una doppia spalliera. Il corpo è presentato frontalmente con le gambe leggermente divaricate e le braccia piegate e poggiate sulla parte superiore delle gambe, con le mani riunite e raccolte in grembo.

La testa diritta tradisce una lieve inclinazione verso sinistra.

Il giovane volto dalle guance arrotondate e dai lineamenti regolari e minuti presenta gli occhi chiusi ed è incorniciato da una corta frangia. I capelli sono lunghi e raccolti in una compatta coda sulla nuca, che scende a sfiorare il collo, quasi fosse la coda di un animale (M. Cattaneo, in Bergamo 2004).

La figura, colta in uno stato di quiete, è nuda eccetto per le scarpette da ballo i cui nastri sono perfettamente allacciati intorno alle caviglie.

L’età della bambina di circa dodici anni è desumibile dalla grazia infantile del volto e dal corpo ancora immaturo con i seni appena pronunciati che preludono al passaggio della pubertà.

L’opera in bronzo poggia su una base realizzata con lo stesso materiale, lavorata per simulare un pavimento formato da grandi tavole di legno.

Sul retro della spalliera superiore è impressa, come in un bollo, la firma dell’artista.

Notizie storico-artistiche

Il personaggio raffigurato non ha una identità particolare, è una piccola ballerina in posizione di riposo prima di indossare il tutù e di iniziare l’esercitazione o il ballo.

La scultura appare intensa nella sua semplicità. Nulla è concesso al dettaglio descrittivo o narrativo, tutto si riduce al volume del corpo seduto sulla sedia e al suo rapporto con lo spazio circostante. 

All’essenzialità di questa immagine si somma la forte concentrazione espressiva data soprattutto dagli occhi chiusi, attitudine che rivela la volontà di “non vedere” verso l’esterno per rivolgere l’attenzione ad un pensiero interiore o all’ ascolto del proprio corpo prima della danza.

Dal volto traspare quel «sorriso, o comunque quell'espressione lontana e indefinibile se di gioia o di dolore, di superamento o di attesa», come ha scritto, nel 1961, Cesare Brandi.

La figura femminile è sempre stata un’importante fonte d’ispirazione per Manzù, che ne ha indagato le potenzialità espressive attraverso la sperimentazione di tecniche diverse; ma è soprattutto nella raffigurazione della nudità dell’acerbo corpo adolescenziale che riesce a raggiungere quella essenzialità della forma depurandola da ogni ornamento.

La ricerca di Manzù si contraddistingue per un approccio antiaccademico e antiretorico per il quale: “La concezione plastica non deve essere ispirata da pregiudizi formali, ma soltanto dall’amore”.

Così al soggetto della bambina seduta (in quest’opera una danzatrice) è associato un altro elemento, la sedia, più volte utilizzato dall’artista nelle sue composizioni, proposto come simbolo di uno spazio quotidiano, in cui ama far vivere i suoi personaggi.

Nella lavorazione del bronzo l’artista usa la levigatezza e la lucidità propria della scultura del tardo Ottocento di Auguste Rodin e Aristide Maillol, introducendo anche elementi legati all’espressionismo di Medardo Rosso e aspetti materici propri della corrente informale europea, che lo portano ad alterare la superficie, lasciando i resti della fusione a vista e percepibili tattilmente, così da far sembrare la materia scabra e imperfetta.

L’intento principale dello scultore rimane quello di ricercare la luce capace di scivolare sulla forma che, come dice l’artista, “quando si lavora, viene dalle mani”.

Questo soggetto è stato affrontato all’inizio degli anni Trenta in alcuni disegni e sviluppato in seguito in scultura: nel 1933 ne realizza un rilievo in rame a grandezza naturale (ora alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma) e, tra il 1938 e il 1948, altri tre esemplari, dei quali uno in piombo (Roma, collezione privata), e infine nel 1947 la prima versione in bronzo (Torino, Galleria Civica). Nel 1949 l'artista traduce questa immagine in una grande opera sempre in bronzo (Milano, collezione privata), di cui una replica del 1953 è conservata al Museo d'Arte Moderna di Madrid.

Nel 1955 realizza la versione della Galleria di Roma, da cui, lo scultore ne tra altre raffigurazioni - apportando delle piccole varianti- attualmente conservate in Musei e Collezioni internazionali (Raccolta Manzù di Ardea; National Gallery di Toronto; Collezione Joseph Hirshorn di New York; Museo di Arte Moderna di Oslo e Collezione Pio Manzù di Bergamo).

L’opera in esame viene donata dall’artista alla Galleria di Roma nel 1978.